Principio espresso: le clausole negoziate per un uso generalizzato, non contenedo informazioni riservate del cliente, sono soggette alla tutela che la direttiva comunitaria 93/13 riserva ai consumatori con le regole contro gli abusi del mercato.
Con la Sentenza n. C537/13 Sezione Nona depositata il 15 gennaio, la Corte di Giustizia Ue introduce questo nuovo orientamento affermando che la direttiva comunitaria 93/13/CEE del Consiglio Europeo, e concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, va applicata anche ai contratti standard dei servizi di assistenza legale stipulati da un avvocato per l’assistenza di una persona fisica che agisca per la tutela di diritti di natura personale e non nell’esercizio della propria attività professionale.
La Corte pone l’accento sull’elemento della buona fede nella regolazione degli interessi in causa i quali vanno valutati tenendo conto delle rispettive posizioni di forza delle parti. In questo senso il professionista può soddisfare il requisito della buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte.
Continua la Corte con l’affermare come:” (…) escludere dall’ambito di applicazione della direttiva 93/13 i numerosi contratti stipulati dai con le persone che esercitano libere professioni, che si caratterizzano per l’indipendenza e gli obblighi deontologici ai quali tali prestatori sono soggetti, priverebbe l’insieme di tali della tutela accordata da detta direttiva.” Infatti: “Le clausole contrattuali che sono state oggetto di negoziato individuale, segnatamente quelle che sono predisposte per un utilizzo generalizzato, non contengono, in quanto tali, informazioni personalizzate relative ai clienti degli avvocati la cui rivelazione potrebbe minacciare il segreto della professione di avvocato. E’ ben vero che la formulazione specifica di una clausola contrattuale, in particolare quella vertente sulle modalità degli onorari dell’avvocato, potrebbe eventualmente rivelare, perlomeno incidentalmente, taluni aspetti dei rapporti tra l’avvocato e il suo cliente che dovrebbero restare segreti. Una clausola del genere, tuttavia, sarebbe negoziata individualmente e, di conseguenza,(..) sarebbe sottratta all’applicazione della direttiva 93/13.” Pertanto la Corte conclude con l’affermare che:” Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, si deve rispondere alle questioni sollevate dichiarando che la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che essa si applica ai contratti standard di servizi di assistenza legale, come quelli di cui al procedimento principale, stipulati da un avvocato con una persona fisica che non agisce per fini che rientrano nel quadro della sua attività professionale“.
Archivio mensile:gennaio 2015
Quando la comunicazione ex art. 36bis del Dpr 600/73 non arriva, la cartella è salva, ma non si applicano le sanzioni
Questa la decisione emessa da una sezione della CTP di Roma che, conformandosi all’orientamento in materia, ha ritenuto valida la cartella esattoriale, pur in mancanza della ricezione, da parte del contribuente, della comunicazione ex art. 36bis Dpr 600/73, riducendo però le sanzioni in cartella applicate per omesso adempimento a seguito della comunicazione predetta.
Sanzioni che nel caso di adempimento a seguito della sola comunicazione sono pari al 10%, elevandosi al 30% in caso di somme iscritte a ruolo in cartella.
L’orientamento dei Giudici Tributari è stato quello di ritenere non necessaria ai fini dell validità della cartella la preventiva comunicazione di irregolarità, la quale non va intesa come atto prodromico alla iscrizione a ruolo, ma come semplice informativa di elementi che il contribuente già conosce e può ben verificare tramite il confronto tra il dichiarato ed il corrisposto al fisco.
Sono invece state ridotte le sanzioni in quanto si è giustamente valutato che non può farsi ricadere sul contribuente una inefficienza del sistema, applicando direttamente sanzioni al 30%, anziché al 10%.
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Il Tribunale di Milano tutela Cuba ed il suo rum
Nel giudizio tra due case produttrici di rum (parte attrice cubana e parte convenuta dominicana) e le relative distributrici italiane, il Tribunale di Milano -Sezione specializzata in materia di impresa- chiamato a decidere in tema di segni distintivi e tutela della indicazione geografica, ha affermato che la tutela dell’indicazione geografica è finalizzata tanto a garantire specifiche qualità del prodotto, quanto a proteggere tutte le potenzialità evocative veicolate dal suo uso, sicché appare sufficiente che il bene non provenga da quel territorio per determinarne la violazione, indipendentemente dalla sua pari o financo superiore qualità;
Pertanto anche se il rum non è un prodotto esclusivo dell’isola di Cuba, il riferimento a Cuba in relazione a tale prodotto veicola suggestioni emozionali e comunicative oltre che la qualità propria del prodotto stesso; ciò per effetto della combinazione di fattori naturali ed umani (il pregio della canna da zucchero cubana, l’ esperienza dei “maestri roneros”, le particolari tecniche d’invecchiamento) e delle campagne pubblicitarie delle stesse attrici, che avrebbero peraltro contribuito al fenomeno sociale dei cocktail a base di rum cubano, ricollegati all’immagine sensuale ed esotica dall’isola caraibica; peraltro, secondo un sondaggio prodotto dalle attrici, una percentuale rilevante di consumatori riterrebbe che la provenienza da Cuba di un rum ne costituisca un pregio rilevante ai fini della scelta di acquisto;
•ciò detto, le condotte delle convenute sarebbero state “univocamente indirizzate” a suggerire ai consumatori che il rum M. fosse originario di Cuba, ai fini di un accreditamento di massa del prodotto; particolarmente ingannevole sarebbe stata l’espressione “Espiritu de Cuba”/”The Spirit of Cuba”, usata anche nella campagna promozionale in associazione ad immagini di Cuba;
•con riguardo alle altre utilizzazioni del termine “Cuba” nelle etichette e nelle bottiglie, le convenute avrebbero assegnato una rilevanza grafica e dimensionale al termine “Cuba” del tutto sproporzionata, posizionandolo al centro del collo della bottiglia ed evidenziandolo ulteriormente con una cerchiatura, con l’effetto di trasformarlo nell’unico riferimento percepibile dal consumatore; persino la dicitura “formula original de Cuba”, in sé veridica, presentando il termine “Cuba” in colori più evidenti ed attraenti (oro) e, soprattutto, dimensioni sproporzionate rispetto al resto dell’indicazione, avrebbe finito con il veicolare il significato inveritiero del luogo di attuale produzione.
Il Tribunale ha quindi inibito alle convenute l’uso dell’espressione “Espiritu de Cuba” sia nella campagna promozionale che impressa sul vetro o sulla confezione della bottiglia, nonché l’utilizzazione del termine Cuba con rilevanza grafica e dimensionale sproporzionata.
Fonte:www.diritto24.ilsole24ore.com
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